Immigrati, profughi rifugiati... idee poche, confusione molta...
Abbiamo
sempre insistito sulla differenza tra rifugiati e migranti, anche quando
nessuno sembrava farci caso e la parola d’ordine era: accogliere chiunque fosse
“in cerca di una vita migliore”.
Adesso,
di fronte all’emergenza di quest’estate, sembra che si incominci a fare qualche
distinzione fra chi “ha diritto” e chi “non ha diritto” all’accoglienza.
Dimenticando, peraltro, che nessuno “ha diritto” ad entrare in uno Stato di cui
non ha la cittadinanza. È lo Stato, ogni singolo Stato, ad avere il diritto di
accogliere o di respingere chicchessia. Ciò posto, gli Stati dell’Unione
Europea aderiscono ad una convenzione ONU che fissa i
parametri (rigorosi) per il riconoscimento dello status di rifugiato (o rifugiato
politico). Sintetizzando al massimo: rifugiato è colui che è
costretto ad emigrare «per
fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità,
appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinione politica»; migrante,
invece, è colui che volontariamente lascia lo Stato di appartenenza, per motivi
economici o per qualsivoglia altra causa. Fin qui – e chiedo scusa per essere
stato costretto a ripetermi – la distinzione di fondo, detestata – manco a
dirlo – dai buonisti in servizio permanente effettivo.
Stando
così le cose (e, piaccia o non piaccia alla Boldrini, stanno proprio così), come
fare per aggirare l’ostacolo e costringere l’Europa a non opporsi a questa invasione
migratoria telecomandata? Semplice: ricorrendo ad una terza figura, che in
maniera surrettizia si vuole sovrapporre e far coincidere con quella di rifugiato.
Mi riferisco alla categoria del profugo, «termine generico – cito dal sito del Consiglio Italiano per i
Rifugiati – che indica chi lascia il
proprio paese a causa di eventi esterni (guerre, invasioni, rivolte, catastrofi
naturali)». Ma, attenzione – e qui sta il punto – senza avere lo status giuridico
di rifugiato, presupposto indispensabile per ottenere la “protezione”
dello Stato ospitante.
Perché
questa fondamentale differenza? Semplice: perché il rifugiato politico è una
figura individuale, è una singola persona che – se ricondotta nel proprio paese
– rischia una ingiusta (si presume) punizione, se non anche la perdita della
vita. I profughi, invece, sono una categoria plurima, sono un insieme di
persone che fuggono da un pericolo generico ancorché grave. Il rifugiato è
talora costretto a prolungare nel tempo la propria permanenza all’estero,
talché potrebbe integrarsi nello Stato ospitante e successivamente richiederne la
cittadinanza. I profughi, al contrario, essendo solitamente in numero
rilevante, possono ragionevolmente aspirare soltanto ad una ospitalità
temporanea, per il periodo strettamente necessario al ritorno della normalità
nel paese di origine: periodo che potrà durare anche alcuni anni, ma che dovrà
necessariamente avere termine. Ecco perché – di solito e senza che qualcuno ne
organizzi l’esodo “spontaneo” – sono ospitati in campi di raccolta posti
generalmente poco oltre la frontiera degli Stati confinanti.
E
veniamo ai profughi di cui si parla in questi giorni, quelli che arrivano dalla
Turchia in Grecia, marciano attraverso Serbia, Ungheria ed Austria, per
raggiungere infine la Germania. Sono profughi che riscuoto la generale
simpatia, perché – direttamente o indirettamente – sono vittime della barbarie
dell’ISIS. Ma in che misura costoro possono essere considerati “profughi”?
Perché – si faccia attenzione – non ci troviamo di fronte a gente che fugge dal
proprio paese, ma a persone che hanno già trovato un asilo oltre le frontiere
siriane, segnatamente in Turchia, in Libano e in Giordania. Dopo di che, in una
fase successiva, hanno deciso di affrontare un viaggio per raggiungere una
destinazione migliore, di solito nell’accogliente Europa. Naturalmente, lascio
ai giuristi decidere se il viaggio verso l’Europa possa essere considerato la
prosecuzione della fuga dalla Siria in fiamme, o non piuttosto una “migrazione
economica” da un asilo all’altro.
V’è,
poi, un altro aspetto che dovrebbe consigliare una valutazione più attenta del
fenomeno, specie dal punto di vista della sicurezza collettiva. Secondo alcune
voci, infatti, in Turchia si assisterebbe ad un traffico vastissimo di
passaporti siriani falsi. Si parla di svariate decine di migliaia di pezzi. Provenienza?
Chissà, forse i soliti “trafficanti di uomini”, o forse altri personaggi con
altro genere d’incombenze, turchi o stranieri che possano essere. Se la notizia
dovesse essere confermata, è probabile che mezza Europa sia ormai piena di “migranti
economici” afgani, pakistani, egiziani che hanno dichiarato di essere siriani.
Ed è parimenti probabile che, tra i falsi siriani, ci siano anche molti soldati
dell’ISIS, mandati in Europa per preparare future azioni terroristiche.
Intanto,
assai misteriosamente, la cancelliera tedesca ha cambiato opinione, così di
botto, sull’immigrazione. Adesso, la stessa gentile signora che aveva fatto
piangere la ragazzina palestinese che chiedeva soltanto di terminare il corso
di studi in Germania, la stessa cancelliera del Quarto Reich – dicevo – è
diventata improvvisamente buona, buonissima, dolce, zuccherosa, gelatinosa… gronda
comprensione e solidarietà da tutti i pori, ed assicura che la Germania
accoglierà centinaia di migliaia di profughi e che – attenzione a questo
passaggio – «molti tra loro diventeranno
cittadini tedeschi». Che dire? Mi pare una conversione che sa di
miracoloso; come quando il premier greco Tsipras ha cambiato idea, dalla sera
alla mattina, sulla politica di rigore che ha disastrato la Grecia. Cose che
succedono in questa strana Unione made in
Maastricht.
Se
poi allarghiamo lo sguardo fino agli orizzonti atlantici, ci accorgiamo che
accadono cose ancor più strane. Come la sporca guerra d’aggressione contro il regime
siriano di Assad – condotta in sostanziale alleanza dall’ISIS e da un esercito
“democratico” finanziato dagli americani – guerra che è la causa diretta di
tanti cataclismi geopolitici, ivi compresa l’ondata di profughi che oggi preme
alle porte dell’Europa.
È
strana questa guerra? No, è una guerra in linea con tutti gli altri disastri
provocati dagli americani in questi ultimi anni (Somalia, Iraq, Libia,
eccetera). Ciò che è strano è che nessuno fra i capi di governo europei abbia
sentito il bisogno di chiedere agli USA e alla NATO di seguire una politica
meno contraria agli interessi dei nostri paesi. Misteri, misteri…
On. Michele Rallo
ralmiche@gmail.com
www.europaorientale.net
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